Esiste un immaginario nascosto nelle pieghe del disturbo psicosomatico.

Trovare, però, il suo senso più profondo implica la conoscenza di un codice diverso da quello concettuale, logico e razionalistico, tipico dell’indagine positivistica e della procedura sperimentale.

Il mondo delle immagini e il mondo dei pensieri non sembrano infatti avere un territorio comune.

Le immagini sono fuori dal tempo e dalla storia, esattamente come i miti, gli archetipi, i sogni e i simboli, ed appartengono alla dimensione inconcepibile dell’infinito. Tradurli non è possibile, se non a costo di una interpretazione fuorviante e riduttiva.

Anche le regole che governano le funzioni del corpo appartengono allo stesso regno dell’immagine.

Per comprenderle occorre conoscere le dinamiche e le peculiarità di funzionamento del nostro inconscio.

L’inconscio e le sue leggi

Utilizzato per la prima volta da von Hartmann per designare il principio base della sua filosofia, ispirata alle teorie di Leibniz sulle percezioni “insensibili”, il termine inconscio diventa un concetto cardine della psicologia del profondo grazie a Freud.

Con il termine “inconscio” si intende un complesso di processi, contenuti ed impulsi non manifesti a livello cosciente,  depositati in una zona  della mente che funziona secondo modalità irrazionali, da cui essi emergono sotto forma simbolica, particolarmente nei sogni, negli atti mancati, nelle distrazioni e nei lapsus.

Secondo Freud i sogni erano manifestazioni psichiche  miranti alla soddisfazione  di desideri pulsionali non realizzati che attingevano ai propri contenuti inconsci. La psiche era strutturata in Es (l’istinto, il desiderio sessuale, i bisogni non riconosciuti), Super-io (insieme dei valori sociali, morali ed educativi, al confine tra conscio ed inconscio) e Io (il mediatore tra le due istanze).

Jung introdusse più tardi il concetto di l’”inconscio collettivo”, cioè “l’insieme dei contenuti psichici universali preesistenti all’individuo e legati al complessivo patrimonio della civiltà”.

Appartengono al grande psicologo svizzero anche le concettualizzazioni dei termini Archetipo e Sincronicità.

Con Archetipo s’intende una forma universale del pensiero dotata di contenuto affettivo. E’ l’informazione base, impersonale, innata, ereditaria, che costituisce  l’inconscio collettivo. Gli archetipi più importanti sono il Sé (il risultato del processo formativo dell’individuo), l’ombra (la parte istintiva che contiene anche i pensieri negati e repressi), l’anima e l’animus (rispettivamente la componente femminile nell’uomo e quella maschile nella donna).

L’archetipo, così fondamentale per capire e dare senso alle patologie psicofisiche dell’uomo, è il prototipo universale  attraverso il quale l’individuo interpreta ciò che osserva e di cui fa esperienza.

Gli archetipi, integrandosi con la coscienza, vengono continuamente rielaborati, aggiornati, modificati dalle società umane, manifestandosi solo per mezzo di immagini simboliche.

L’uso degli archetipi durante la descrizione di un sintomo da parte di un paziente conduce direttamente alla sua modalità di rappresentazione del reale, al suo sistema di valori, al suo vissuto esistenziale, e, spesso, alle cause che hanno generato il disturbo.

Per Sincronicità s’intende, come già precedentemente accennato, una connessione fra eventi, psichici o oggettivi, che avvengono nello stesso tempo, e tra i quali non c’è una relazione di causa-effetto ma una evidente comunanza di significato.

Tale concetto, distinto da quello di “sincronismo”, che indica la semplice simultaneità tra due eventi, fu notevolmente arricchito dal contatto di Jung con il pensiero filosofico indiano, e portò ad elaborazioni interessanti anche del fenomeno da tutti conosciuto come  “coincidenza significativa”.

Tale principio consente di cogliere, ad esempio, i nessi acausali esistenti  tra la patologia fisica di un paziente e l’ambiente mentale, emotivo, affettivo e relazionale in cui essa si è manifestata.

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